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Cavalieri del crepuscolo, e se i vampiri di vampire knight fossero stati quelli di twilight?

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hikari77
view post Posted on 25/5/2009, 14:18




salve! questa è la mia prima fanfict su vampire knight, ho voluto provare a incrociarlo con twilight, non è nulla di che, ma vatemi sapere com'è!
se yuki, diciasettenne allegra, si fosse trasferita nella cittadina di forks e li avrebbe incontrato zero, un misterioso ragazzo appartenente all'èlit del suo liceo, la night class, cosa sarebbe sucesso? e se si innamorasse di quest'ultimo?cosa serebbe sucesso se i vampiri di "vampire knight" fossero stati quelli di twilight?

capitolo 1 : A prima vista

nella penisola di olimpia, nascosta in una cortre di nuvole, esiste una cittadina di nome forks. questo agglomerato urbano conta il più alto tasso di giorni piovosi in tutta l'america. quell'insignificante cittadina, dove le novità erano più uniche che rare, sarebbe stata la mia nuova casa. a forks stavo andando in esilio , dopo una decisione presa dolorosamente. la mamma si era risposata, e lei e suo marito volevano viaggiare. sarei solo stata di peso, così avevo preso la sofferta decisione di andare a vivere da mio padre, nonchè agente di polizia, l'ispettore cross. per arrivare a forks avevo dovuto fare quattro ore d'aereo da phoenix a seattle, poi arrivata li avevo fatto un'altra ora d'ereo per arrivare a port angeles e successivamente un'ora di auto per arrivare a forks. non mi distrurbava volare, era il viaggio in macchina con mio padre, Kaien Cross, che mi preuccupava. lui era un tipo logorroico e vivace , e io non ero in vena di ascoltare le sue cianciate troppo a lungo. effettivamente, questo lato "allegro" l'avevo preso da lui, ma quel giorno ero troppo depressa per starli dietro.

scesa dall'aereo mio padre mi venne incontro come un cane scodinzzolante, dandomi un forte abbraccio.

- papà, mi soffochi!-

- che bello rivederti yuki! come stai? come è andato il viaggio? e la mamma sta bene? -

- tutto apposto, anche la mamma sta bene- risposi

avevo con me pochi bagagli, giusto una valigia con le poche cose impermeabili che avevo a phoenix. in arizona, infatti , faceva molto caldo. da un abitante di quella zona, ci si poteva aspettare essere biondo , atletico e abbronzato. io non ero così. avevo i capelli bruni, tenuti poco più lunghi delle spalle, una carnagione pallida, quasi marmorea, e gli occhi nocciola. non ero esattamente la "classica cherleader bionda" della zona.

- sai, ho trovato una macchina fantastica! proprio adatta a te!- mi disse mio padre, una volta allacciate le cinture della macchina.

- che genere di macchina?- il modo in cui aveva detto "proprio adatta a te" mi aveva insopettito.

- ti ricordi billy black, quello che sta a la push?- la push è la microscopica riserva indiana che si trova nei pressi di forks

-no-

- come no?! yuki, sei crudele! come fai a dimenticartene?? veniva con noi a pescare, quando tu eri piccola- ah, ecco perchè non me lo ricordavo, sono molto brava a rimuove dalla memoria tutte le esperienze sgradevoli

- sai, da poco è finito sulla sedia a rotelle!! poverino... mi è dispiaciuto così tanto! comunque, tornando alla tua macchina.. è un pick-up, un chevy

- di che anno è?- il repentivo cambiamento d'espressione di mio padre, mi fece intendere che doveva essere vecchia, molto vecchia.

- bhè, billy l'ha aggiustata per bene , ha solo qualche annetto!- disse ridacchiando tra se e tornando di buonumore. speravo non mi sottovalutasse tanto, non potevo accontentarmi di una risposta simile - quando l'ha comprato-

-nel 1985-

-nuovo?-

- emm... non proprio! sai, billy è un vero risparmiatore! quando l'ha comprato... non era nuovo, ma era come se lo fosse- lo guardai male - va bene, va bene. penso dei primi anni sessanta, massimo nei tardi cinquanta. ma non ti preuccupare! quell'aggegio va alla grande ! non ne fabbricano più macchine così!!!!- l'aggeggio, pensi tra me. se non altro come soprannome poteva andare

- e quanto verrebbe a costare?-

- bhè, più o meno te l'ho già comprato! sai, come regalo di benvenuto!! ero così felice che....!!!-

evvai, gratis! -ma papà, non c'era bisogno!!!-

- ma ero così felice... sai, io ti voglio bene tesoro!- dicendolo era euforico, tipico di lui

- oh...grazie! è stato un bel pensiero! anche io ti voglio bene!- risposi. cercai di sembrare allegra, anche se, devo dire che la notizia della macchina mi aveva tirato su di morale.

sucessivamente, scambiammo qualche commento sul tempo, e lui incalzò una storia su qualche suo amico iniziando a parlare a raffica. io lo ignorai e mi misi a guardare fuori dal finestrino. certo, il panorama era bellissimo , non potavo negarlo. tutto verde : gli alberi, i tronchi coperti di muschio, la terra coperta di felci. persino l'aria sembrava verdastra. un pianeta alieno era tutto verde!

alla fine giungemmo a casa. papà viveva ancora nel piccolo stabile con due stanze da letto che aveva comprato appena sposatosi con la mamma. lì, parcheggiatto sul vialetto c'era il mio pick-up. era di un rosso scolorito, con i paraurti grossi e arrotondati e un abitacolo che sembrava un bulbo. con mia grandissima sorpresa mi piacque.

- grazie papà! è meravigliosa!- l'orrendo domani che mi aspettava sembrava meno spaventoso. per andare a scuola non dovevo scegliere se camminare per chilometri o farmi dare un passaggio sull'auto della polizia.

con un viaggio, riuscimmo a portare tutta la mia roba nella mia camera al pianto superiore. la mia camera era quella a ovest, e dava sul prato di fronte a casa. mio padre l'aveva riarredata, comprando un nuovo letto, che sembrava tanto uno di quelli che ci sono nei racconti di principesse per bambine, comprando delle tende a fiorni rosa e fucsia e costellandola di pupazzi. in più le coperte facevano pendant con le tende. sembrava un altro mondo. promemoria : comprare delle nuove tende e delle nuove coperte. sulla scrivania, c'era un computer usato, con conessione a internet. quella era una delle condizzioni che aveva posto mia madre perchè andassi a vivere a forks.

- ti piace?! ti piace?! ti piace?!- chiese euforico mio padre , saltellando da una parte all'altra intorno a me come una molla

- molto- mentii.

- vuoi che ti aiuti a disfare i bagagli?- chiese

- no, no. faccio da sola!- dissi praticamente sbattendo fuori mio padre

mio padre era un tipo invadente, e se vedeva che... non ero di buonumore si preuccupava. fortunatamente, lavorava tutto il giorno, così sarei tranquillamente rimasta sola a piangermi adosso. in quel momento non ero in vena di crisi di pianto.me la sarei lasciata per l'ora di andare a dormire.

la scuola superiore di forks vantava la spaventosa quota di 357 alunni, più uno con me. quella dove frequentavo a phoenix aveva più di 700 solo la prima sezione. a forks tutti i bambini erano cresciuti assieme, e anche i loro genitori, e i loro nonni e così via. io sarei stata quella nuova , quella che viene dalla grande città.

riposi la mia roba nella casettiera, entrai nel bagno armata di beauty case, per darmi una ripulita dopo una giornata di viaggio. mi guardai allo specchio mentre mi pettinavo i capelli umidicci e annodati. forse era la stanchezza, o la tristezza, o il clima giallastro, ma la mia pellle sembrava già più chiara e trasparente. magari era anche una bella tonalità, ma dipendeva tutto dal colore.qui non avevo colori.

osservai il mio pallido riflesso, mi stavo solo prendendo in giro.se non mi sarei ambientata sarebbe stata solo colpa mia. non ero riuscita a ritagliarmi un mio posto in una scuola con 3000 studenti, figuriamoci in una con 357. non ero capace di entrare in sintonia con le persone della mia età, no, non ero capace di entrare in sintonia con le persone.punto. ogni tanto mi chiedevo se i miei occhi e quelli del resto del mondo vedevano le stesse cose. forse il mio cervello era difettoso.



quella notte dormii male, anche dopo aver pianto a dirotto. il rumore del vento che s'infangeva sulla finestra e lo scricchiolio penetrante della pioggia non mi fecero chiudere occhio. era ufficiale : odiavo forks. la mattina sucessiva infalai la divisa del liceo : era un completo gonna-maglietta lunga nero, con un ficco rosso e poi scesi a fare colazione con mio padre, il quale fù stranamente calmo. presi la macchina e mi diressi verso la scuola. ci misi un pò ad arrivare, ci girai intorno un paio di volte prima di capire che quell'edificio era la scuola. parcheggiai di fronte al primo edificio , dove c'era un cartello su cui scritto "segreteria" . non c'erano auto, perciò era una zona vientata, ma lasciai perdere, se no sarei dovuta andare in giro a chiedere informazioni e non avrei più trovato la segreteria. prima di aprire la porta feci un respiro profondo. l'interno era caldo e accogliente, inoltre c'erano più colori di quanti mi aspetassi. l'ufficio era piccolo : una minuscola area con sedie pieghevoli imbottite che faceva da sala d'aspetto, mouquette scura variegata di arancione , le pareti tapezzate di avvisi e graduatorie , un grosso orologio appeso al muro. la stanza era divisa in due da un lungo bancone. dietro di esso c'erano tre scrivanie, una delle quali era occupata d auna signora imponente, occhialuta e rossa. la donna alzò lo sguardo -posso esserti utile?-

- sono Yuki Cross- la informai, e immediatamente vidi i suoi occhi accendersi. la figlia della moglie fuggiasca dell'ispettore cross tornata a forks, senza dubbio ero stata io la fonte degli ultimi pettegolezzi.

- certo - disse. rovistò con la mano una pila molto precaria di documenti, estrasse dei documenti e me li porse - qui c'è il tuo orario e una mappa della scuola- sistemò sul banco dei fogli e me li mostrò. mi indicò sulla pianta le aule delle mie lezioni e mi indicò come arrivarci. presi quei fogli, salutai cordialmente, e , messa la cartella in spalla, mi preparai psicologicamente al mio primo giorno nella nuova scuola.

riuscii in qualche modo ad arrivare nell'edificio dove si teneva la mia prima lezione. camminai velocemente nei corridoi, tenendo testa e sguardo basso, quasi per nascondermi. entrai in aula. era piccola. portai il mio modulo di iscrizzione al professore, un uomo alto e calvo, che secondo la targhetta sulla cattedra si chiamava "Mr chason". quando lesse il mio nome fu come caduto dalle nuvole. mi fece sedere in ultima fila, senza troppe presentazioni. mi lasciò una lista di libri che, trall'altro avevo già letto. la lezione era piuttosto facile e elementare, era tutta roba che avevo già fatto a phoenix. quando suonò la campana, un ragazzo allampato, con qualche problema cutaneo e i capelli che erano neri come una macchia d'olio, mi rivolse la parola.

- sei yuki cross, vero?- aveva l'aria del tipico cervellone, impacciato e pieno d'attenzioni

- si -

- dov'è la tua prossima lezione?- chiese lui

dovetti controllare l'orario e di conseguenza la pianta - emm, educazione civica, edificio 6-

- io sto andando al 4, ti accompagno- disse - mi chiamo eric- aggiunse

abbozzai un sorriso - grazie!-

ci infillamo i giubotti e attraversammo il cortile per arrivare nell'altro edificio

- c'è una bella differenza tra qui e phoenix, eh?- chiese lui

- già-

- laggiù non piove molto vero?-

- tre, quattro volte l'anno-

- caspita, devv'essere assolato. ma non sembri molto abbronzata-

- si, sai, mia madre era mezzo albina-

- che?- fantastico, qui non esiste neanche il senso dell'umorismo. con mio grande sollievo, ero arrivata in classe, e la lezione stava incominciando, così lo salutai. le altre lezioni andarono bene. una ragazza si sedette accanto a me durante l'ora di spagnolo e trigonometria, in più mi accompagnò in mensa. era minuta, sul metro e sessantacinque, ma i suoi capelli ricci e arruffati compensavano quasi tutto il divario. Non ricordavo il suo nome, perciò sorridevo e annuivo mentre lei ciarlava dei professori e delle lezioni. Non cercai nemmeno di seguire il suo discorso.Ci sedemmo in fondo a un tavolo pieno di suoi amici, che mi presentò. Dimenticavo i loro nomi un istante dopo averli sentiti. Sembravano stupiti dall'audacia che mostrava parlando con me. Eric, il ragazzo di inglese, mi salutò con la mano dall'altro lato della sala.

Fu in quel momento, seduta a pranzo, impegnata a conversare con sette estranei curiosi, che li vidi per la prima volta.

Erano seduti nell'angolo più lontano e isolato della mensa. Erano in cinque. Non parlavano e non mangiavano, benché ognuno di loro avesse di fronte a sé un vassoio pieno di cibo, intatto. Non mi stavano squadrando, a differenza della maggior parte degli altri studenti, perciò potevo osservarli tranquillamente, senza temere di incontrare uno sguardo un po' troppo curioso. Ma non furono questi particolari ad attirare, e catturare, la mia attenzione.

prima di tutto, indossavano tutti e cinque una divisa bianca, e non nera come tutti gli altri studenti. poi erano tutti simili ma diversi

Dei tre ragazzi, uno era biondo, con i capelli rosso-arancio, muscloso . Uno era più alto e magro, ma comunque muscoloso, biondo miele con occhi azzurri. Il terzo era smilzo, meno robusto, con i capelli spettinati, di una strana tonalità di argento. Sembrava molto più giovane degli altri, che avrebbero potuto anche essere studenti universitari, o addirittura insegnanti.

Le ragazze erano sedute di fronte a loro. Quella più alta era statuaria. Il genere di bellezza che si vede nei cataloghi di costumi da bagno, di quelle che infliggono duri colpi all'autostima delle altre donne. Aveva capelli marroni, che le accarezzavano la schiena con un'onda delicata. La ragazza più bassa era una specie di folletto, magrissima, dai tratti molto delicati. I suoi capelli erano biondi, raccolti in due code.

Eppure, c'era qualcosa che li rendeva tutti somiglianti. Ognuno di loro era pallido come il gesso, erano i più pallidi tra tutti gli studenti di quella città senza sole. Più pallidi di me, l'albina. Tutti avevano occhi molto scuri, a dispetto del diverso colore dei capelli, e cerchiati da ombre pesanti, violacee, simili a lividi. Quasi avessero tutti trascorso la notte senza chiudere occhio, o si stessero riprendendo da una rissa. Eppure, il resto dei loro lineamenti era dritto, perfetto, spigoloso.

Ma non era questo il motivo per cui non riuscivo a distogliere lo sguardo.

Li fissavo perché i loro volti, così differenti, così simili, erano tutti di una bellezza devastante, inumana. Erano volti che non ci si aspetterebbe mai di vedere se non, forse, sulle pagine patinate di un giornale di moda. O dipinti da un vecchio maestro sotto fattezze di angeli. Difficile decidere chi fosse il più bello: forse la ragazza castana e perfetta, forse il ragazzo con i capelli argentei.

Tutti guardavano altrove, lontano dal loro tavolo, lontano dagli altri studenti, lontano da qualsiasi cosa, per quel che potevo capire. Mentre li osservavo, la ragazza minuta si alzò con il vassoio in mano ,bibita ancora sigillata, mela senza l'ombra di un morso , e si allontanò con una falcata veloce, aggraziata, da atleta. Meravigliata da quel passo di danza la guardai finché, rovesciato il contenuto del vassoio nella spazzatura, sparì dalla porta secondaria a una velocità impensabile. Il mio sguardo guizzò di nuovo sugli altri, seduti esattamente come prima.

-E quelli chi sono?- chiesi alla ragazza della lezione di spagnolo, di cui avevo dimenticato il nome.

Mentre lei alzava lo sguardo per capire di chi parlassi ,ma forse per il mio tono di voce l'aveva già intuito , lui la guardò, il più magro, il più giovane, quello con l'aria da ragazzino. Osservò la mia vicina per non più di una frazione di secondo, e poi i suoi occhi scuri lampeggiarono nei miei.Distolse lo sguardo all'istante, ancora più in fretta di me, che avvampando dall'imbarazzo, chinai subito il capo. In quella fulminea schermaglia di occhiate, la sua espressione rimase neutra, come se la mia vicina avesse pronunciato il suo nome e lui avesse alzato gli occhi involontariamente, ma già deciso a non rispondere.

La ragazza fece una risatina imbarazzata e come me guardò verso il tavolo.

-Sono Zero Kiryuu ed Akatsuki Kain, assieme a Ruka Souen e Hanabusa Aido. Quella che se n'è andata era Rima Touya ; vivono tutti assieme al dottor Cullen e sua moglie- disse, con un filo di voce.

Guardai di sottecchi quel bel ragazzo, che ora osservava il proprio vassoio e faceva a pezzi una ciambella con le dita lunghe e pallide. La sua bocca si muoveva velocissima, le labbra perfette si aprivano appena. Gli altri tre continuavano a guardare altrove, eppure mi sembrava che stesse parlando, piano, con loro.

Nomi strani, poco diffusi, pensai. ma forse qui andava di moda : nomi da cittadina di provincia? no, la ragazza con cui stavo parlando si chiamava jessica, nome difusissimo.

-Sono... molto carini-, mi sforzai di minimizzare, ma non ero credibile.

-Sì!-, concordò Jessica con un'altra risatina. -Però stanno assieme. Voglio dire kain e ruka, e aido e rima. E vivono assieme-

-hai detto che vivono con i cullen?-, chiesi. -Non sembrano parenti...-

-Oh, non lo sono. Il dottor Cullen è molto giovane, ha trent'anni, forse meno. Sono tutti figli adottivi. aido e akatsuki sono cugini e sono in affidamento-

-Sembrano un po' grandi per essere ancora in affidamento-

-Adesso sì, akatsuki e kain hanno diciotto anni, ma vivono con Mrs Cullen da quando ne hanno otto. È una specie di zia o qualcosa del genere-

-È davvero un bel gesto... prendersi cura di tutti quei ragazzi, nonostante siano giovani e tutto il resto-.

-Direi di sì-, ammise Jessica senza troppo entusiasmo, e mi fece intuire che per un motivo o per l'altro il dottore e sua moglie non le piacevano. A giudicare dagli sguardi che lanciava ai loro figli adottivi, doveva essere una questione di gelosia. -Comunque penso che Mrs Cullen non possa avere bambini- aggiunse, come se ciò sminuisse la bontà della signora.

Durante la conversazione, non potevo fare a meno di lanciare continuamente svelte occhiate al tavolo della strana famiglia. Continuavano a guardare il muro senza mangiare.

-Hanno sempre abitato a Forks?- chiesi. Mi sarei certo accorta di loro, durante una delle mie vacanze lì.

-No-, rispose lei, e il tono di voce sottintendeva che la risposta doveva essere ovvia anche per una nuova arrivata come me. -Si sono trasferiti un paio d'anni fa, vengono da un qualche posto in Alaska-

Istintivamente provai compassione e sollievo. Compassione perché, belli com'erano, restavano degli emarginati, chiaramente malvisti. Sollievo perché non ero l'unica nuova arrivata, né di certo, e sotto nessun punto di vista, la più interessante.

Mentre li studiavo, il più giovane dei Cullen , quello con i capelli grigio-argento, alzò lo sguardo e incrociò il mio, e stavolta la sua espressione era evidentemente incuriosita. Mi voltai di scatto, e allora mi sembrò di notare che il ragazzo fosse stranamente sorpreso, quasi deluso.

-Chi è quello con i capelli argentei?- chiesi. Lo sbirciavo con la coda dell'occhio, lui continuava a fissarmi, ma senza squadrarmi come avevano fatto tutti gli altri studenti. La sua espressione era leggermente frustrata. Abbassai di nuovo lo sguardo.

-Si chiama zero. È uno schianto, ovviamente, ma non sprecare il tuo tempo. Non esce con nessuna .A quanto pare qui non ci sono ragazze abbastanza carine per lui-, disse, con aria di disprezzo. La volpe e l'uva. Chissà quando era toccato a lei essere rifiutata. Mi morsi un labbro per non riderle in faccia. Poi guardai di nuovo verso il ragazzo. i suoi occhi erano rivolti altrove, ma le guance mi parvero alzarsi come se stesse ridendo anche lui.Dopo qualche minuto, i quattro si alzarono da tavola assieme. Tutti si muovevano con una grazia che richiamava l'attenzione. Osservarli era fonte di turbamento. Quello che si chiamava zero non mi guardò più.

- e perchè indossano una divisa diversa?- chiesi

- non lo sai?- continuò jessica stupita - la nostra scuola è divisa in sue sezioni : la day class e la night class. noi facciamo parte della day class, mentre loro della night class. frequentano i nostri stessi corsi, ma a quanto pare, loro sono dei geni con un quozziente intellettivo superiore al nostro-

Rimasi seduta a tavola con Jessica e i suoi amici più di quanto mi sarei trattenuta se fossi stata da sola. Avevo il terrore di arrivare tardi alle lezioni del primo giorno di scuola. Una delle mie nuove conoscenti, che con un certo buon senso mi ricordò il suo nome, Angela, aveva biologia II, come me. Ci dirigemmo verso l'aula in silenzio. Anche lei era timida.

Quando entrammo in classe, Angela andò a sedersi a un tavolo nero per gli esperimenti, uguale a quelli cui ero abituata. Aveva già un compagno. Anzi, tatti i tavoli tranne uno erano occupati. Accanto al corridoio centrale, riconobbi gli strani capelli di zero kiryuu, seduto accanto all'unico posto libero.

Camminando lungo le file di banchi per presentarmi al professore e fargli firmare il modulo, lo tenevo d'occhio, di sottecchi. Quando gli passai accanto, all'improvviso si irrigidì. Mi fissò ancora una volta, con la più strana delle espressioni sul volto: era ostile, furioso. Guardai subito altrove, sbalordita, rossa di vergogna.

Il signor Banner firmò il modulo e mi diede un libro, senza perdersi in presentazioni.

Ovviamente, non avendo scelta, mi fece sedere nell'unico posto libero, al centro dell'aula. Tenni basso lo sguardo, mentre mi accomodavo vicino a lui, ancora scossa dall'occhiata ostile di poco prima.

Non osavo guardarlo, mentre sistemavo il libro sul tavolo e mi mettevo a sedere, ma con la coda dell'occhio lo vidi cambiare posizione. Si stava allontanando da me, seduto sul bordo della sedia e voltato dall'altra parte, come per evitare una tremenda puzza. Senza farmi notare, mi annusai i capelli. Profumavano di fragola, come il mio shampoo preferito.

Lasciai cadere i capelli sulla mia spalla destra, a chiudere il sipario tra di noi, e cercai di prestare attenzione all'insegnante.

Purtroppo la lezione era sull'anatomia cellulare, un argomento che avevo già studiato. In ogni caso presi appunti, senza staccare gli occhi dal quaderno.

Non potevo trattenermi dallo sbirciare di tanto in tanto, attraverso la ciocca di capelli, verso lo strano ragazzo che mi era seduto accanto. Non si rilassò nemmeno per un istante durante l'intera lezione e rimase rigido, sull'orlo della sedia, il più lontano possibile da me. Riuscivo a vedere il pugno chiuso appoggiato sulla gamba sinistra, i tendini in tensione sotto la pelle pallida. Non riusciva a rilassare neanche quelli. Teneva le maniche della camicia bianca arrotolate fino al gomito, e l'avambraccio che ne spuntava era sorprendentemente sodo e muscoloso. Non era affatto smilzo come mi era sembrato accanto al fratello . La lezione pareva durare più delle altre. Era perché finalmente la giornata stava finendo, o perché aspettavo che quel pugno si aprisse? Non lo fece; restò sempre talmente immobile che sembrava non respirasse nemmeno. Cosa c'era che non andava? Si comportava sempre così? Ripensai alle malignità di Jessica, a pranzo. Forse non aveva esagerato con il risentimento.Non poteva essere a causa mia. Non sapeva niente di niente di me.Sbirciai di nuovo verso di lui, e me ne pentii. Mi stava di nuovo squadrando, con gli occhi neri pieni di disprezzo. Mentre mi ritraevo, stretta nella sedia, improvvisamente pensai a quel modo di dire: se gli sguardi potessero uccidere...

In quel momento la campana prese a squillare, io sobbalzai ed zero kiryuu si alzò dal suo posto con un movimento fluido ,era molto più alto di quanto avessi immaginato,dandomi le spalle, e prima che chiunque altro avesse lasciato la sedia era già fuori dalla classe.Io rimasi pietrificata al mio posto, incredula, a guardarlo. Che cattivo. Non era giusto. Iniziai a raccogliere le mie cose lentamente, cercando di arginare la rabbia che mi aveva presa, per non mettermi a piangere. Per qualche motivo, il mio umore e i miei occhi erano legati a doppio filo. Di solito, quando ero arrabbiata piangevo, una reazione umiliante.anche se, in quel momento, ero più protesa ad iseguirlo e prenderlo a pugni che a rimanere a piangermi adosso. anche questa non era una reazzione normale. quel ragazzo mi irritava.

-Sei tu Yuki Cross?-, chiese una voce maschile.

Alzai lo sguardo e vidi un ragazzo carino, con il viso da bambino, i capelli biondo cenere raccolti in punte ordinate, che mi sorrideva con aria amichevole. Evidentemente, lui non pensava che avessi un cattivo odore.

- Yuki - precisai con un sorriso.

-Io sono Mike-

-Ciao, Mike-

-Serve aiuto per trovare la prossima lezione?-

-Devo andare in palestra, credo di potercela fare-

-Ci vado anch'io-. Sembrava entusiasta, benché una coincidenza del genere non fosse poi strana, in una scuola così piccola.Uscimmo dall'aula assieme. Era un chiacchierone, e fu soprattutto lui a parlare, per mia fortuna. Aveva vissuto in California fino all'età di dieci anni, perciò capiva come mi sentivo, lontana dal sole. Scoprii che frequentava anche le mie lezioni di inglese. Era la persona più gradevole tra le nuove conoscenze di quel giorno.

Però, mentre entravamo in palestra, chiese: -Scusa, ma hai accoltellato zero kiryuu con la matita, o cosa? Non l'ho mai visto comportarsi così-

Io rimpicciolii. Così, non ero stata l'unica ad accorgermene. E a quanto pare, quello non era il solito comportamento di zero kiryuu. Decisi di fare la finta tonta.

-Parli del ragazzo seduto accanto a me durante biologia?- chiesi ingenuamente.

-Sì-, rispose. -Sembrava gli fosse venuto un attacco di qualcosa-

-Non so. Non gli ho nemmeno rivolto la parola-

-È un tipo strano- Mike continuava a ronzarmi attorno, anziché dirigersi verso lo spogliatoio. -Se io fossi stato tanto fortunato da esserti seduto accanto, ti avrei rivolto la parola-

Prima di voltarmi verso l'entrata dello spogliatoio femminile gli sorrisi. Era cortese, e senza dubbio gli piacevo. Ma non era abbastanza per fare sbollire la mia rabbia.

L'insegnante di ginnastica, Mr Clapp, mi trovò una divisa ma non me la fece indossare, per quella lezione. A casa, ginnastica era obbligatoria solo per due anni. Qui, invece, per quattro. Forks era letteralmente il mio piccolo inferno personale.

Finalmente la campana suonò. Mi trascinai verso la segreteria per restituire il modulo. La pioggia si era calmata, ma il vento era forte e freddo. Mi strinsi nel giubbotto.Quando entrai nell'ufficio caldo, fui sul punto di riuscirne immediatamente.Di fronte a me, alla scrivania, c'era zero kiryuu. Riconobbi di nuovo quella massa arruffata di capelli color argento. Non sembrò accorgersi del mio ingresso. Io rimasi accanto al muro, in attesa che la segretaria si liberasse.Stava discutendo con lei, con un tono di voce basso, seducente. Riuscii a captare l'argomento della discussione. Stava cercando di spostare biologia a un altro orario, qualsiasi altro orario.Non potevo credere che fosse a causa mia. Doveva esserci qualche altra ragione, qualcosa successo prima che io entrassi in aula. Il suo atteggiamento doveva avere un motivo totalmente diverso. Era impossibile che quello sconosciuto potesse odiarmi in maniera tanto improvvisa e intensa.La porta si riaprì, e il vento freddo che immediatamente invase la stanza sfiorò i documenti sulla scrivania e mi scompigliò i capelli sul viso. La ragazza che era entrata si allungò semplicemente verso il banco, depositò un foglio in un cestino e uscì di nuovo. Ma zero kiryuu si irrigidì e lentamente si voltò per fulminarmi ,il suo viso era di una bellezza assurda ,con uno sguardo penetrante, pieno d'odio. Per un istante provai un brivido di vera paura, sulle braccia mi venne la pelle d'oca. Lo sguardo non durò che un secondo, ma mi gelò più del vento freddo. zero tornò a rivolgersi alla segretaria.

-Non fa niente- disse svelto, con la sua voce vellutata. -Mi rendo conto che è impossibile. Molte grazie lo stesso-. Girò i tacchi senza degnarmi di altre attenzioni e si dileguò dalla stanza.

Io mi avvicinai timida al banco, pallida, per una volta, anziché rossa di timidezza, e consegnai il modulo con le firme.

-Com'è andato il primo giorno, cara?- chiese la segretaria con aria materna.

-Bene-, mentii, a mezza voce. La donna non sembrò convinta.

finito in segreteria, tornai al mio pick-up, ma non partii subito. aspettai che tutti gli altri se ne fossero andati, per poi mettere in moto. odiavo forks, e avevo capito che la mia vita li non sarebbe stata facile, ma volevo capire che avevo fatto per procurarmi l'antipatia di zero kiryuu e ci sarei riuscita.


 
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NihalDubhe96
view post Posted on 15/4/2011, 16:35




Bello Hikari!
:risatina:
 
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1 replies since 25/5/2009, 14:18   339 views
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